martedì 5 giugno 2012

ANIME SENZA CIELO - Giorgio Scerbanenco (recensione di Marina Frighi)

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“[…] Ohnehimmelseele è una parola in tedesco che significa anime senza cielo. L’ho udita da una ragazza tedesca […]:sono coloro che con la guerra hanno perso tutto, la patria, la casa, la famiglia, ogni cosa.[…]”
Da ormai dieci anni Stiva, profugo polacco, scappa attraverso l’Europa post bellica in cerca di un posto, o meglio, di un rifugio sicuro. E’ braccato, e lo sa, e sa che cosa cercano, soltanto non sa chi sia a dargli la caccia. È per questo che Stiva si sottrae a tutto, persino ai sentimenti, perché sa di non potersi fidare, di non poter mai abbassare la guardia se non a rischio della vita.
Questa storia inizia in una squallida pensione di Milano, dove i segni dei bombardamenti della seconda guerra mondiale sono ancora molto evidenti, si sposta poi a Genova e, infine, a Roma. In ogni città toccata da Stiva durante la sua fuga, le spie d’oltre cortina lo inseguono, lo inseguono le spie americane, lo inseguono, poi, figure indecifrabili, apparentemente estranee alla trama del romanzo ma capaci di riservare sorprese interessanti.
Una bellissima storia di spionaggio, tenuta sino alla fine da una scrittura diretta e mai rallentata, che fa da sfondo alla descrizione di un’Italia ancora prostrata dalle rovinose perdite portate in dote dalla guerra, e usata, quindi, come campo da gioco delle potenze vincitrici che sembrano potervi scorrazzare da padrone. La scrittura è secca, aspra, a volte persino plumbea e da essa trasuda il clima di paura, povertà e soprattutto di perdita di fiducia nel futuro che l’autore riconosce come specifico di quegli anni.
Una storia inventata, forse, che serve per descrivere uno scenario di vita reale, forse. Tutto è scuro, i luoghi vengono descritti senza colori, quasi la guerra li avesse risucchiati in un infinito grigiore, li avesse stinti in una plumbea monocromia.
E’ un libro molto bello, che consiglio a chi si vuole leggere una storia di spionaggio avvincente e ben costruita, forse a tratti ingenua visto a ciò che i libri attuali ci hanno abituato. La maestria dell’autore si dispiega, oltre che nella scrittura lucida e piana, nella trama che regge fino alla fine,senza cadute del ritmo narrativo, senza incrinature della storia che, per questo, non ha bisogno di ricorrere ad espedienti mirabolanti, a trucchi o colpi di scena. Se da questo libro fosse stato tratto un film, quando l’autore lo pubblicò per la prima volta negli anni 50, la parte di Fabia sarebbe stata perfetta per l’attrice Alida Valli, bellissima, altera profuga istriana arrivata giovanissima in Italia.

MARINA FRIGHI
Per la rubrica
IL CIMITERO DEI LIBRI DIMENTICATI

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