
E’ il secondo libro che leggo di questo autore di thriller molto apprezzato, in realtà ho iniziato per caso dall’ultimo, “Polvere e sangue”, che ho trovato scritto davvero in modo magistrale (questo il link della recensione Polvere e sangue).
In “Las Vegas baby” il detective Jonathan Stride si è trasferito nella città della sua compagna, anche lei detective, Serena Dial, una donna dal passato molto tormentato.
E’ stato messo in coppia con un’altra donna, Amanda, che si scopre essere poi una transessuale. Amanda è spiritosa e molto in gamba e Stride trova in lei una compagna di lavoro davvero eccezionale.
Intanto in città uno psicopatico sta uccidendo persone apparentemente non legate tra di loro da nulla, ma, scavando, si ritrova il filo conduttore di tutto: l’hotel Sherazade e l’omicidio, nel 1967, della bellissima ballerina Amira Luz.
E’ una storia che ci riporta nella Las Vegas degli anni ’60, è come se ci immergessimo in questa città e, insieme a Stride, ci trovassimo a fare un salto nel passato e nei suoi torbidi segreti.
Devo ammettere che ho capito ben presto come potessero essere andate le cose e, via via, mi dicevo “l’avevo capito!!”…però il finale ci spiazza del tutto e ci fa comprendere a cosa possa condurre un’ossessione.
Serena, la compagna di Stride, riscopre il suo interesse per le donne e rivela al suo uomo che è attratta da Claire, una donna che i due stanno proteggendo dal killer.
Molti quindi gli argomenti trattati: gli abusi da parte dei genitori sui figli, l’identità sessuale dei protagonisti, il peso degli interessi economici sugli affetti, i segreti che si nascondono dietro un mondo di lustrini e paillettes.
Molto nostalgica la parte finale nella quale il vecchio colosso, l’hotel Sherazade, viene fatto implodere (non sto facendo spoiler, si dice fin dall’inizio che deve essere abbattuto per dare spazio ad una nuova costruzione).
Ecco il passaggio finale: Stride gettò un’ultima occhiata alla torre di macerie. Un pezzo dell’insegna era finito in cima al mucchio. Per qualche motivo questo lo fece pensare ai vecchi tempi, ai giornali ingialliti che aveva letto, alle foto dei giovani di allora, che ormai erano vecchi o già morti. Al 1967. Il sole brillò su quel frammento, e per un istante l’insegna sembrò prendere vita per l’ultima volta, liberando un bagliore che subito si spense.
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