
Anni Ottanta, Casteldaccia ( Castiddazza) , circa settemila
abitanti, tra cui il nostro sedicenne protagonista e il suo amico Antonio. Due ragazzini che si trovano del tutto
casualmente immersi in quella che venne denominata
la seconda guerra di mafia.
Nel 1982 viene ucciso il cognato del boss Filippo Marchese,
uno dei più sanguinari uomini di Cosa Nostra. Nell’arco di otto giorni
moriranno quindici persone, senza una vera logica in realtà.
Il nostro protagonista e l’immancabile amico Antonio sono
lì, come tanti ragazzi di quegli anni, seduti al bar o scorazzanti sul loro
Motobecane a discutere di come poter
cambiare il mondo o del loro futuro lontano da quel paese che gli va stretto.
Loro parlano di film, di opere letterarie impegnate e, mentre Antonio ha visto
e letto di tutto, il suo amico prende nota di ciò che dovrà vedere o leggere.
Antonio vuole andare lontano, vuole vivere la sua vita altrove, il nostro
protagonista, invece, almeno apparentemente ha un’indole pigra, ma, in fondo,
forse, pensa che fuggire sia da vigliacchi, pensa che qualcuno debba restare per cambiare davvero le cose.
Ed ecco perciò che Giorgio D’Amato a Palermo ci è rimasto, e, attraverso le pagine di questo
romanzo/documento, racconta la sua
infanzia a Casteldaccia, racconta la sua amicizia con Antonio, i morti
ammazzati che ti ritrovavi “coi piedi a paletta” non appena svoltato l’angolo.
Racconta le birre al bar del centro, i cocktail trangugiati solo per darsi un
tono, le teorie di due giovani che si affacciavano al mondo. Racconta di rabbia,
dolore, morte, ma anche di amicizia e di speranza. Racconta pure di un
professore, il prof. Ferlauto che ci credeva nel cambiamento e che esortava i
propri alunni a pensare con la propria testa e a non lasciare che qualcun altro
pensasse al loro posto, perché , diceva:
“ricordate, tutte le volte che voi non pensate o non pensate abbastanza, ci
sarà qualcuno a farlo per voi, e non è detto che vi voglia bene”.
Un incastro perfetto tra la cronaca di quei giorni, precisa,
puntuale, dettagliata e la vita che, nonostante tutto, con caparbietà, cerca in
ogni modo di avere la meglio. Proprio come quelle pianticelle che sbucano tra le
crepe dell’asfalto, quasi a dispetto di quest’ultimo.
Una menzione particolare va poi ai ragazzi di Apertura a
strappo che, insieme a Giorgio, portano in giro una presentazione del romanzo
che è più una rappresentazione di quest’ultimo. Bravissimi lettori e ottimo
narratore dei fatti Giorgio stesso. Piacevolissimo ascoltare il racconto de “L’estate
che sparavano” attraverso le loro voci e la musica che li accompagna.
Un romanzo di mafia, sulla mafia, ma diverso da qualsiasi
romanzo mai scritto su questo argomento
2 commenti:
Ci sono cose che mi commuovono, questa recensione ci riesce.
grazie per ogni parola, soprattutto quelle dedicate al prof Ferlauto che tanto a contribuito alla mia formazione.
G
Grazie a te Giorgio
Grazia
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